Una delle nozioni di rischio che preferisco è quella di Ulisse Gobbi proposta nel libro L’assicurazione in generale. Egli definisce il rischio come «il campo estesissimo, fra i due estremi della certezza dell’impossibilità e la certezza del verificarsi, in cui si ha, in varie gradazioni, l’incertezza che un dato evento si verifichi o meno». Se non fosse per la data di pubblicazione, 1898, tale definizione potrebbe ben appartenere al mondo attuale.
Due sono i principali motivi della rilevanza a parer mio di tale definizione. In primis, la definizione percepisce il rischio non solo secondo un’accezione negativa ma anche positiva, considerando l’evento che potenzialmente può verificarsi anche come un’opportunità. In secondo luogo, nonostante la definizione sia tratta da una pubblicazione in ambito economico è ben spendibile in ogni contesto di riferimento. Pertanto, tale ultra-secolare definizione, è oggi più che mai attuale e persino innovativa. In un mondo travolto dalla pandemia da quasi due anni, tutti noi ci siamo ritrovati in un modo o in un altro a discutere di rischi: epidemiologici, economici, sociali, finanziari, ambientali. Quello che possiamo imparare come individui, organizzazioni, aziende, istituzioni è il ruolo chiave dell’interconnessione dei rischi. Da un lato per esempio, le aziende non possono più fare a meno, non solo di gestire i rischi – non più meramente finanziari ma anche non-finanziari (es. la pandemia) – ma anche di attuare politiche attive di prevenzione del rischio e sviluppo di capacità predittive proprio al fine di cogliere l’evento rischioso in ottica di opportunità. Dall’altro, i singoli individui, in quanto immersi in diverse strutture (aziende, organizzazioni, istituzioni), non possono stare fermi e anch’essi hanno il compito di contribuire alla prevenzione, gestione e mitigazione degli svariati e interconnessi rischi.
Quindi quale/i opportunità ci ha offerto questo periodo di pandemia? E come coglierle?
La più grande opportunità che la pandemia ci ha offerto è l’accelerazione verso il raggiungimento della sostenibilità.
Il concetto di sostenibilità è non solo abusato ma spesso declinato in maniera errata. E’ vero che non esiste una definizione unanime di sostenibilità ma la più importante e riconosciuta è quella fornita dalla commissione Brundtland delle Nazioni Unite nel 1987 che cita:
“Per sviluppo sostenibile si intende lo sviluppo volto a soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di far fronte ai propri bisogni.”
Tale definizione implica che quando si parla di sostenibilità non stiamo parlando solo del tema ambientale (spesso usato come sinonimo di sostenibilità), ma anche di tematiche sociali, e non da ultimo economiche, interrelate tra loro. È fondamentale pertanto un sostanziale cambio di paradigma economico-sociale che adotti un approccio integrato per il suo raggiungimento.
In che termini possiamo ricercare la sostenibilità? L’Organizzazione delle Nazioni Unite ci viene in aiuto. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, l’Agenda promuove la sostenibilità attraverso il raggiungimento di 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile globale (i famosi “Sustainable Development Goals” o SDGs[1]) inquadrati all’interno di un programma d’azione più vasto costituito da 169 target o traguardi, ad essi associati, da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030.
[1] Se anche tu vuoi verificare il tuo impatto come individuo verso lo sviluppo sostenibile e come puoi migliorarti puoi scaricare l’app delle Nazioni Unite: SDGs in Action.
Silvia Panfilo