Annabella Sperotto
Corporate social responsability e sostenibilità sono largamente noti alle imprese e si rivelano essere asset strategici o, addirittura, identitari. Non è irrilevante, dunque, la percezione di una geografia dell’impatto sociale che ha come punti cardinali proprio le imprese, che vanno a sopperire alcune lacune del welfare statale, che affiancano, sempre di più, il terzo settore nel raggiungere i propri obiettivi, ma, soprattutto integrano a lungo termine e in maniera inscindibile il valore sociale al proprio business. Si tratta sicuramente anche di vantaggio competitivo, strategia e segmenti di mercato, ma anche, in alcuni casi, di qualcosa di più profondo che parte dalla valorizzazione delle persone e arriva all’ecosistema.
Questo a partire da una figura imprenditoriale che sembra diversa rispetto a quella del nostro immaginario e a quella dipinta, anche recentemente, di “imprenditore gatto: intelligente, furbo e creativo, ma fatalmente incline all’individualismo” (Pievani, 2019), forse più simile a quella di imprenditore “attivista” (cfr Alessia Contu e il suo lavoro sull’intellettuale attivista) che traspone il suo sistema valoriale, il rispetto per il lavoro e per i lavoratori, la sua comunità di riferimento alla propria azienda, contesto nel quale tutto questo necessariamente assume una connotazione propria e indipendente, ma in qualche maniera affine alla genesi originale.
“Finalmente il modello economico del comportamento umano si è evoluto includendone la vera complessità decisionale” (Shiller, 2013).
L’imprenditore attivista è estremamente diverso rispetto alla figura “classica” dell’attivista sociale: non fanno parte del suo modus operandi proteste, boicottaggi, marce, scioperi. Il suo attivismo consiste nel credere nel valore positivo dell’impatto sociale, applicare il sistema valoriale e gli strumenti a sua disposizione nella propria realtà aziendale e divulgare il tutto tramite il successo nel business, punta dell’iceberg, fondamentale. Infatti, quanto più le aziende ad alto impatto sociale avranno successo anche in termini di fatturato, mercati, nuovi segmenti di clientela, tanto più gli imprenditori attivista saranno spinti ad uscire allo scoperto e riusciranno a crescere in significatività e numerosità.
Così come sembra cambiare il paradigma imprenditoriale, sembra anche cambiare la concezione di cluster, quel distretto industriale che è stata la base del successo economico italiano, in cui le imprese collaboravano e competevano in un sistema di prossimità geografica, comunanza settoriale e di contesto sociale. L’evoluzione è rappresentata dalle comunità di business sostenibili, un sistema di imprenditori e imprese non necessariamente simili per geografia, settore o contesto, ma sistema valoriale. La business community si incontra durante i convegni, nelle università, nelle associazioni di categoria, nel mondo digitale etc. Condivide pratiche, know how e le proprie relazioni, progetta e co-progetta iniziative, contribuendo così a coinvolgere anche altre imprese. Lo fa nella maniera migliore possibile, probabilmente l’unica: raccontando storie di business di successo, che hanno anche un alto tasso di impatto sociale positivo.
L’unica azienda ad alto impatto sociale in grado di cambiare veramente il sistema imprenditoriale, infatti, è quella che funziona in maniera eccellente a livello di business: quella che ha un fatturato alto e in crescita, quella che lavora su più mercati, quella che assume nuovo personale etc.